Cattedrale

Figlia del romanico, presenta paludamenti settecenteschi. Nonostante la trasfigurazione rimane la chiesa più bella e amata dai cittadini. Dedicata alla Vergine Maria Assunta in Cielo, la Cattedrale, scrupolosamente e infinite volte mutilata e alternata nel corso dei secoli, conserva ben poco dell'antico tempio romanico, dedicato a S. Maria dell'Episcopio. Esso, stando alla pianta basilicale, fu edificato all'inizio della dominazione normanna (1113), con il patrocinio della principessa Costanza, figlia di Filippo I di Francia e vedova di Boemondo.
Successivamente re Ruggiero e Guglielmo II avrebbero, rispettivamente il 1134 e il 1172), favorito la prosecuzione dei lavori. Certa rimane la data della consacrazione della chiesa medievale, avvenuta il l283, sotto il vescovo Giovanni II da Venezia (F. Ughelli). La chiesa attuale, riconsacrata il 1757 dal vescovo G. Orlandi (l752-l775) ha l'ingresso principale sul fronte meridionale. Sopraelevato rispetto alla quota stradale, ha un portale riccamente ornato, sormontato da un timpano di pregevole fattura. Portale e timpano (XII-XIIl sec.) che hanno resistito alla mania di stravolgimento e egocentrismo umano. Originariamente il portale doveva essere fiancheggiato da colonne sostenute da leoni stilofori.
La successione degli archi incrociati, arieggianti il gusto arabo-siculo, il rosone con le sei figurine zoomorfe e la grande bifora sottostante a est del portale, parlano dell'orientamento dell'arte del restauro (E. De Cillis), sul finire del secolo XIX. Il rosone, infatti sostituente il vecchio finestrone a losanghe (1730) e gli altri elementi decorativi appena citati, risalgono al 1892, quando fu rifatto il lato meridionale del transetto, sotto la direzione dell'ing. Lanari. Manufatti questi usciti dalla moda del tempo e dalla voglia di misurarsi, a volte rivedendoli, spesso sconciandoli, con le grandi opere d'arte antica. Opposto all'attuale ingresso principale, a nord, c'era un tempo un altro ingresso, chiuso alla sua primitiva funzione di accesso al tempio dalle successive modifiche.
Il portale, con una pregevole cornice, reca in alto le armi del vescovo Pietro II da Orvieto e di Eugenio IV (1431-1443), il papa promotore del Concilio Universale, dove convennero l'Imperatore di Costantinopoli, Paleologo, il Patriarca, abati, cardinali, studiosi di tutta la terra, per unificare la Chiesa Latina e quella Orientale (F. Ughelli), obiettivo fermamente perseguito oggi dalla Chiesa Cattolica. Il fronte più importante della Cattedrale, però, rimane quello di levante, che guarda piazza Duomo, La parte superiore di questo prospetto venne restaurato il 1465 da un cosiddetto MAGISTRO NICOLAUS DE ROGERIO. Della chiesa romanica esso conserva gli archi, i finestroni e le due torri absidali (XII-XIII sec.), caratterizzanti il panorama del centro antico e richiamanti la chiesa di S. Nicola di Bari. La più alta delle due (m. 49,74) sarebbe stata consolidata dopo il terremoto del 1660, con l'aggiunta di fodere di muri addossate alla fabbrica.
La torre bassa, che reca in cima il BOMBAUN, il famoso campanone i cui rintocchi diventano supplica al cuore della Madonna quando la tramontana e la levantara minacciano la vita dei naviganti, venne abbattuta fino all'altezza della volta della chiesa con deliberazione del Capitolo della Cattedrale del 9/lO/1692 e riedificata entro il 1700 (M. Bonserio, Le conclusioni decurionali della città di Giovinazzo...). Sul Lato opposto, a ponente, su via Marina, quella che era la facciata principale risulta del tutto trasformata. Il 1892, mentre veniva restaurato il prospetto si rifaceva il portale settecentesco, anch'esso sopraelevato rispetto al livello stradale. L'interno, ampio e solenne, in forme barocche, è a tre navate, con transetto sopraelevato, tre absidi, di cui i recenti restauri hanno valorizzato quella centrale.
Le navate sono divise da tre pilastri in muratura, che hanno preso il posto delle colonne di granito provenienti da un antico tempio dedicato a Minerva (Marziani). I tetti, originariamente a capriate e a semicapriate nelle navate laterali, hanno subito anch'essi della trasformazioni, come tutta la fabbrica. Gli unici corpi risparmiati nella distruzione della chiesa antica sono il transetto e la sottostante cripta cui si accede per una scala a ridosso del muro in fondo alla navata laterale, a sinistra rispetto all'ingresso di ponente. Le volte della navata centrale sono decorate a lacunari con richiami rinascimentali. Lungo ciascuna delle navate laterali si succedono tre cappelle. La prima, a partire dall'ingresso di ponente, è dedicato al SS. Sacramento. Balaustra e altare (1768) di marmo policromo, vantano un lavoro d'intarsio finissimo. Progetto di Crescenzo Trinchese e realizzazione di G. Sammartini. Sulla parete a destra il dipinto (anni trenta) di G. Pansini di Giovinazzo, raffigurante L'ULTIMA CENA, collocato nella cappella. La seconda cappella e dedicata alla Madonna delle Grazie la cui icona, di L. Pallavicini, risale al XVI secolo. La terza custodisce il busto del beato Nicola da Giovinazzo, figlio del giudice Lupis o Lupone. L'altare, ius patronatum della famiglia Brayda, è dedicato a S. Tommaso di Canterbury, rappresentato in ginocchio con i tre santi di Bisceglie nel sovrastante dipinto dei fratelli De Musso.
Una lapide sulla parete a sinistra testimonia la benemerenza dei Bravda scesi dalla Normandia nel Regno di Napoli al seguito di Carlo VIII (1492) e rimasti a Giovinazzo dove, tra l'altro hanno lasciato la Villa dei Cipressi, passata poi ai Bellacosa e successivamente in altre mani. La prima cappella, lungo la navata sinistra, reca una statua marmorea raffigurante S. Francesco Saverio di A. Altieri (B. Andriani). Vi si custodisce il fonte battesimale di pietra locale, ordinato dal vescovo Barnaba (1577) in sostituzione del vecchio fonte di marmo andato distrutto o scomparso durante i vari lavori di ristrutturazione. La seconda cappella e dedicata alla Vergine di Loreto e la terza accoglie il mirabile Crocifisso ligneo (sec. XIV) e l'altare privilegiato alla cui ombra riposa il CRISTO MORTO (sec. XVII) in una bara lignea della prima metà di questo secolo. L'insieme custodito in una urna di vetro, linea '900, è stato ultimamente restaurato per volontà della benemerita Arciconfraternita del SS. Sacramento. Il transetto, che non si estende al di là dei muri delle navate laterali, si salvò anche dalla radicale trasformazione subita dalla fabbrica romanica il l72O (E. De Cillis). L'ampio presbiterio, rialzato di tre gradini rispetto al piano del transetto, ha avuto questa sistemazione intorno al 1852, sotto il vescovo Giovanni VI Costantini, che volle delimitata l'area della balaustra di marmo che ancora oggi ammiriamo.
Il Costantini, inoltre, sostituiva il pavimento settecentesco del presbiterio con lastre di pietra locale e rimuoveva le lastre tombali dei vescovi le cui sepolture erano state predisposte dal vesc. De Mercurio. Alcune di queste lastre andarono distrutte altre riutilizzate nella pavimentazione dell'annesso palazzo vescovile. In quel torno di tempi furono rifatte le decorazioni a stucco, rifatta la trabeazione settecentesca in pietra e scalpellata con apporti in stucco di gesso. L'altare maggiore, più volte rifatto e rimosso ha una lunga storia da narrare. Il 1611 venne spostato ulteriormente e rialzato il trono episcopale per volere del vescovo Giulio Masi da Firenze. La sedia episcopale era stata rifatta dal vescovo Briziano. Oggi al centro del presbiterio, sorge, a forma di calice, il moderno altare, realizzato (1990) su disegno dell'arch. N. Dolciamore e offerto con motivazioni soprannaturali dal dott. Archimede Palombella. Sul fondo della chiesa si delinea l'abside con le due laterali, rimodellate rispetto alle originarie. La centrale, con il finestrone murato il 1676, per volontà del vescovo Agnello Alfieri, è interamente ricoperta dai dipinti di Carlo Rosa, nato a Giovinazzo e morto il 1678 a Bitonto, dove fu sepolto. Aveva questi studiato e lavorato a Napoli, quindi nel Salento, e successivamente tra Giovinazzo e Bitonto, dove ha lasciato ottimi saggi di arte pittorica. Allievo di M. Stanzioni, subì l'influenza di Guido Reni e dei Guercino.
Il soggetto principale di questo insieme pittorico è la Vergine Assunta ai cui piedi e raffigurato orante il committente, monsignor Alfieri. ln alto si offre la scena della Incoronazione di Maria e, nelle altre sezioni, sono rappresentati i protettori minori della città di Giovinazzo. Il tutto porta la firma dell'artista, seguita dall'attributo IUVENATIENSIS (da Giovinazzo). Di questo patrimonio pittorico fa parte la pregevole tavola del CRISTO REDENTORE (sec. XV), ora sul primo pilastro a destra dell'arco trionfale, e la miracolosa icona bizantina della Madonna di Corsignano, dipinta su legno di cedro e custodita da una preziosa edicola, realizzata a Roma dallo scultore e cesellatore Costantino Calvi (1897), su disegno dell' arch. Ettore Bernich. Fini smalti e gemme varie contornano il volto della Vergine, dichiarata Protettrice principale di Giovinazzo il 1388, anno in cui l'Icone fu traslata nella chiesa di S. Agostino dal casale di Corsignano, dove si venerava dal 1097. Una base lignea, realizzata a Bari e in parte a Giovinazzo dall'intagliatore Alfredo Pagliari, su disegno del medesimo Bernich, sostiene la ricca edicola, durante la processione in onore della santa Vergine.
Di estremo interesse sono, inoltre, i frammenti del pregevole pavimento musivo dell'antica chiesa romanica, nella zona presbiterale, messi in luce dai recenti lavori di consolidamento e di restauro effettuati sotto la sorveglianza della Soprintendenza ai beni architettonici e storici della Puglia e finanziati dal Min. LL. PP. e dal Provveditorato alle OO.PP. di Bari. Tessere policrome, al centro del coro, sono disposte in modo da formare la figura di due guerrieri che si affrontano con lancia e scudo. Una cornice perimetrale racchiude i vari riquadri dai contenuti indecifrabili per i danni subiti durante l'opera di trasformazione del transetto, registrata nel 1720. Sotto il muro di contenimento dell'altare maggiore, fatto erigere il 1740, tre medaglioni incorniciati da tralci rendono vagamente due figure di guerrieri tra forme arboree e volatili, pavoni e uccelli vari (E. De Cillis, La Cattedrale di Giovinazzo, restauri e rinvenimenti, Bitonto 1987, Estratto dagli Atti del Convegno di Studi CULTURA e SOCIETA' IN PUGLIA in ETA' SVEVA e ANGIOINA). Durante i lavori di consolidamento, appena ricordati, sono state rinvenute, in prossimità della balaustra, delle sepolture con muri di tufi, rinvenimento che evidenzia l'intento di creare spazi per le salme dei prelati, onde la necessità di spostare il livello del pavimento, che risulta rialzato di cm.55 rispetto a quello musivo della chiesa romanica. Sulla parete meridionale, poi, del presbiterato, là dove era addossato il coro ligneo proveniente dalla soppressa chiesa di S. Domenico, un insieme pittorico al quanto deteriorato si offre alla vista del visitatore.
Sulla parete meridionale, poi, del presbiterato, là dove era addossato il coro ligneo proveniente dalla soppressa chiesa di S. Domenico, un insieme pittorico al quanto deteriorato si offre alla vista del visitatore. Fu eseguito nel 1485, a cura del vescovo Pietro da Racaneto, rappresentato in ginocchio davanti alla figura di S. Erasmo martirizzato. La illustrazione politica, riporta, partendo dal centro, sulla destra due figure di prelati, una per ciascuno dei due riquadri in cui è scomparito l'impianto figurativo, e sulla sinistra la figura di S. Agata, vergine e martire di Catania, vissuta nel III secolo. Il tutto è stato recentemente restaurato, gratia et amore Dei, da Serafina Melone. Non può passare inosservato al visitatore, sul fondo della chiesa, a ovest, il monumentale organo settecentesco, attribuito a Pietro Simone da Napoli, in fondo una bussola ne completa l'insieme. Essa si richiama per disegno e colori alla bussola della chiesa di San Domenico in P. Vittorio Emanuele II alle porte che chiudono l'accesso alla sacrestia, opera dei fratelli De Musso, pittori di Giovinazzo che hanno espresso il meglio del loro talento in questa chiesa. L'organo di cui sopra elargiva ai fedeli effluvi sonori sotto le sapienti mani di Cristina Piscitelli, detta La Pazza, ex suora di clausura, una contemplativa che amava lodare il suo Signore mortificando il corpo e affinando lo spirito tra penitenze e sublimazioni mistiche.
Presso la Cattedrale, inoltre, si conserva uno scrigno di avorio, manufatto dell'arte bizantina (sec. XI), una croce reliquiario (sec. XV) dono degli Orsini e il reliquario del Legno Santo (XIX sec.), e un inestimabile Archivio Diocesano con 2000 pergamene e un infinità di preziosi documenti cartacei. Tra l'altro un registro delle nascite del XVI secolo, egregiamente miniato. Le due lampade votive di argento che ardevano davanti all'immagine della Vergine sin dal 1677 e i sei massicci candelieri anch'essi d'argento, donati dal Duca Nicolò Giudice, sparirono durante le razzie francesi nel nostro territorio. Sulla destra del portale si trova l'ingresso dell'oratorio della Cattedrale, sede dell'Arciconfraternita del SS. Sacramento, già compagnia del Corpo di Cristo, fondata nel XIII secolo e istituita giuridicamente nel 1274.
     

 

 

 

 

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