Saraceno

L'edificio, gioiello dell'arte rinascimentale del quattrocento, consta del piano terreno, del piano nobile e dell'attico, destinato alla servitù. Il prospetto principale su via Gelso si leva su un basamento a tre ricorsi di bugne; un cordone sul bordo superiore gira intorno fino al portale minore. Questo ha il fornice ad arco ribassato e, sull'asse, lo stemma della famiglia. Ricche sono le finestre del piano nobile con evidente influenza catalana. Il portale maggiore, con ampio fornice a pieno centro, immette nel cortile dal quale si volge, su due rampanti a squadra, la scala, che risulta rimaneggiata. Al termine del secondo rampante è la porta sormontata da uno stemma; per questa si entra nel cortile con giardino pensile. In un angolo di questo cortile c'è una vera da pozzo di pietra scolpita. Tre mascheroni stanno a ricordare l'impresa in cui un Girifalca avrebbe staccato la testa con un sol colpo di spada ad un capitano Moro.
Dopo questo fatto la famiglia Girifalca, proveniente dalla Sicilia, fu indicata col nome di Saraceno. Estintasi questa famiglia, il palazzo passò ai Donanno, quindi fu venduto frazionato agli attuali proprietari. Del complesso faceva parte anche l'ex - cappella di famiglia dedicata a S. Giuseppe, prospiciente la via che da questo Santo prende il nome. Questa cappella dedicata, al Santo di cui porta il nome da Giovanni Antonio, un tempo era staccata dal Palazzo dei Saraceno e aveva un piccolo parco. Oggi esiste una costruzione interposta in seguito. Attualmente essa è adibita a civile abitazione. Il prospetto su via S. Giuseppe non accusa menomazioni. Sull'architrave della porta vi è un epigrafe con la data della consacrazione (1635) e sulla cornice lo stemma raffigurante un leone rampante che occupa quasi tutto il campo verticale, tagliato da una banda trasversale con tre teste di Mori; non molto lontano ce né un'altro.
Due iscrizioni connotano significativamente questo manufatto architettonico; una sul fronte principale e l'altro su quello di via S. Giuseppe. La prima, in volgare, el saracino tengez et sempre coce et quanto più lo tocchi più te noce, suonava quasi come un avvertimento per chi avesse intenzioni ostili nei confronti dei Saraceno; l'altra temer si dee sol di quelle cose che hanno potenza di far altrui male de l'altre no che no son paurose (Dante, Inferno, II canto, vv. 88 - 90), sta ad indicare lo spessore culturale della famiglia. Di essa infatti, molti sono i rappresentanti di spicco. Tra il XIV ed il XV secolo troviamo il famoso capitano Leo che Alfonso, duca di Calabria, uccise a tradimento; l'emerito giurista Filippo, professore di diritto, vissuto in pieno quattrocento, autore di De iure patronatus; il protontino Bisanzio e lo storico Grifo, il canonico francescano letterato Francesco e il professore di diritto Antonio a cavallo tra il quattrocento e il cinquecento, e tanti altri ancora. Di questa famiglia si ricorda una Marianna, ultimo rampollo, che vendette a Don Giuseppe Ignazio Donnanno il complesso e nobile edificio (S. Daconto) onde la denominazione di palazzo Donnanno.



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